Possiamo dire che ho seguito su Instagram la nascita di questo libro attraverso le bellissime storie pubblicate da Valentina che ha una capacità unica di raccontare attraverso immagini bellissime e poche parole, posti, persone, attimi, incontri.
Valentina Raffaelli e Luca Boscardin sono due designer che nella primavera 2019 sono partiti con un van (che ha un nome: Big Blue) e per 11 mesi hanno girato l’Italia alla scoperta della nostra cultura tra tradizioni, ricette e sostenibilità.
Mi ricordo ancora la bottega di un artigiano produttore di pipe con un pappagallo come compagno di lavoro, o ancora Valentina in Puglia a imparare l’arte dell’orecchietta perfetta… Sono rimasta conquistata e affascinata da questi incontri e non li ho più lasciati, ho seguito Valentina e Luca nel loro viaggio su e giù per l’Italia per undici mesi.
E ora con il loro libro in mano mi sembra di aver viaggiato con loro, ne ritrovo i momenti e gli incontri.
Scarti d’Italia non è un libro di cucina, o almeno non solo. È il racconto di un viaggio, di un Paese che mai come ora ha bisogno di ritrovarsi e riconoscersi per ripartire. Le parole di Valentina lo raccontano benissimo: “In un mondo così pieno di libri, programmi, blog e riviste di cucina, e bombardato di immagini di cibo, vuole essere un tentativo di fare cultura alimentare in un modo unico e di qualità.“
Scarti d’Italia svela già nel titolo la sua essenza: riscoprire la cucina delle nostre nonne, quella dove non si buttava niente, quella dove “gli scarti” diventano piatti della cultura e della tradizione, dove il mangiare meno carne e sceglierla meglio è una via più etica e sostenibile. Un viaggio (in van!) alla riscoperta del nostro Paese.
Intervista a Valentina Raffaelli per scoprire di più del loro viaggio e del loro libro:
D. Iniziamo subito dalla dedica all’inizio del libro, mi è piaciuta tanto: “Alle nostre nonne, i migliori esempi di sostenibilità”.
Quali sono le migliori buone-abitudini che le vostre nonne vi hanno insegnato?
R. Le nostre nonne appartengono a quella generazione che viveva e tutt’ora vive a contatto con la natura, coltivano l’orto, rigoglioso in estate, più scarno e sottoterra in inverno, hanno le galline che danno uova fresche ogni giorno, un tempo avevano anche altri animali. Vivono in totale equilibrio con il sistema di cui fanno parte. Si prendono cura degli animali, con estremo amore e dedizione, e questi sono, come nelle logiche della cultura contadina, allevati per degli scopi precisi. Eppure quello che a parole può suonare come sfruttamento, è in realtà uno scambio vero e proprio, una sinergia che nasce dal rispetto, dalla conoscenza e dalla gratitudine.
Ci hanno insegnato ad aprire gli occhi e guardare cosa c’è disponibile, cosa offre l’orto o il mercato, e a non decidere cosa mangiare a priori, senza pensare alla stagione o alla disponibilità.
Le nostre nonne ci hanno insegnato che la natura ha un suo ritmo preciso e che un tempo l’uomo si incastrava alla perfezione in questo equilibrio.
Le conserve erano preparate per quando il giardino non offriva più i suoi frutti e che anche le foglie che cadevano dagli alberi erano raccolte dalla gente per essere usate nelle stalle degli animali: tutto aveva un ordine preciso e un rispetto innato per la natura e i suoi ritmi.
D. Cosa possiamo fare tutti per essere più sostenibili?
R. In tema di cibo, ricordarci che esistono le stagioni. Scegliere a chi affidarci per comprare e cosa comprare. Provare a non sprecare e ad essere più creativi con ciò che abbiamo in casa, la famosa economia domestica. E in altri ambiti, essere meno egoisti.
Le nostre azioni hanno delle conseguenze e che se anche piccolissime possono contribuire a fare la differenza.
D. Sia tu che Luca siete “nati” designer poi la vita vi ha fatto fare giri incredibili, com’è andata?
R. Abbiamo entrambi studiato architettura e poi ci siamo specializzati, Luca in grafica e comunicazione visiva, io, Valentina in design degli interni. Luca ha da subito trovato la sua strada nel mondo del design per bambini, (qui potete vedere una bellissima intervista a Luca) disegna navicelle spaziali, città e coccodrilli a dondolo. Il suo stile di disegno, sintetico e quasi primitivo, l’ha portato, dal mondo dei bambini, a lavorare nel mondo delle icone e dell’illustrazione in generale. Questo libro è l’espressione ultima di questo percorso, un racconto illustrato fatto sul campo, con tecniche diverse e una ricerca intrinseca della semplicità formale.
Io invece, dopo aver lavorato alcuni anni nell’ambito della progettazione di allestimenti museali, ho aperto uno studio di styling di interni: cataloghi per diverse aziende e styling editoriali per riviste di settore. Lentamente, le commissioni iniziano a virare verso il mondo del food. Nel 2015 ho pubblicato, sempre per Corraini, Herbarium taste, un manuale di illustrazioni infografiche che racconta in modo semplice e schematico proprietà nutritive di frutta, verdura, legumi, germogli e cereali. A partire da questo lavoro, l’attenzione si è concentrata sempre più su pomodori e zucche e finocchi, e ho deciso di entrare in una cucina professionale. Quello che inizia come un hobby a fianco del lavoro vero e proprio, diventa piano piano l’occupazione principale. Per tre anni ho lavorato a tempo pieno nella cucina di un prestigioso ristorante italiano di Amsterdam e in parallelo si sono aperte nuove strade di ricerca e apprendimento. E’ un mondo completamente nuovo, c’è tanto da imparare e studiare. La decisione di intraprendere la ricerca per il libro Scarti d’Italia è la scusa di apprendimento di un capitolo meno comune e l’occasione di essere ospitata in tanti ristoranti italiani per un anno di formazione auto organizzata. È stato come scrivere un folto quaderno di appunti. Tanti altri ce ne sarebbero da scrivere!
D. Oggi viaggiare è più difficile, abbiamo riscoperto le nostre cucine e la soddisfazione di fare con le nostre mani. Quale può essere il vostro consiglio per vivere bene questo momento storico?
R. Abbiamo più tempo, è indubbio, molti momenti dedicati agli spostamenti o agli impegni sociali sono ora dedicati ad altro. Molti stanno passando più tempo in cucina, riscoprendo il piacere di fare le cose a mano. La scusa del tempo che ci spinge di solito ad andare nei grandi supermercati dove troviamo di tutto anche tante cose già pronte, ora viene meno. Dovremmo allora provare a dedicare più attenzione a quello che acquistiamo, a dove ordiniamo, scegliere piccoli produttori che sono una delle ricchezze che rendono grande il nostro paese. Impariamo di nuovo a scoprire la varietà della frutta, della verdura, dei cereali e legumi che mettiamo in tavola, facciamo attenzione alla stagionalità dei prodotti. Ci sono molte più cose disponibili di quanto conosciamo e immaginiamo.
Questo momento storico, così difficile e unico, può essere la scusa per dare più valore alla qualità.
D. Da designer come vi immaginate che le case possano rispondere alle nuove esigenze?
R. Tante attività si stanno spostando online, stiamo vedendo, come forse mai prima, che lavorare in remoto è possibile e anche produttivo per tanti ambiti e la casa sta assumendo nuovi scenari, quella di ufficio, spazio creativo, sfondo di video conferenze. Lo spazio prima esclusivamente privato, si apre, online, verso un pubblico più o meno ristretto. Quante volte, accendendo il video e vedendo il caos alle nostre spalle, abbiamo desiderato una libreria ordinata o semplicemente una parete colorata contro cui stagliarci?
La cucina poi, non è più spazio di servizio, ci passiamo più tempo e vogliamo essere al centro del soggiorno, partecipi delle attività della casa.
Desideriamo una casa con finestre grandi, aperte verso l’esterno, che facciano entrare il sole anche quando non possiamo uscire.
D. Com’è viaggiare con BigBlue? Su Instagram sembra tutto bellissimo e a colori, tu prepari pranzetti che la mia cucina si sogna (i cardi con le pere e il limone mi sono rimasti nel cuore!), c’è anche una parte meno instagrammabile?
R. Viaggiare con BigBlue è meraviglioso. Quando, dopo aver proposto l’idea editoriale a Corraini, abbiamo affrontato le questioni logistiche, pensavamo inizialmente di girare per un periodo molto più breve, appoggiandoci ad appartamenti e stanze in affitto. Soluzione più canonica, ma decisamente più dispendiosa e limitante. Poi la grande intuizione: le ruote!
Ci serviva una casa su ruote in grado di portarci dove dovevamo andare, ma che fungesse anche da studio per poter lavorare (in remoto) mentre eravamo in viaggio.
Abbiamo comprato BigBlue a gennaio 2019, l’abbiamo sistemato proprio seguendo queste esigenze: un tavolo abbastanza grande per poter lavorare comodamente in due, un sistema elettrico con batteria e pannelli solari in grado di permetterci di lavorare per un’intera giornata con due computer, una cucina il più possibile organizzata per cucinare quello che volevo senza limitazioni e un ambiente accogliente che ci facesse sentire a casa, con tanto di cuscini e soffitto in legno. Certo, girare con un furgone comporta anche una serie di occupazioni organizzative un po’ meno romantiche: l’acqua non sgorga automaticamente dal rubinetto come a casa, ci sono dei serbatoi che vanno riempiti, l’energia elettrica non è infinita, va sempre controllata, il bagno non è direttamente collegato alla rete fognaria, va svuotato e per avere un soggiorno confortevole e anche una camera da letto abbastanza comoda, senza avere una corriera, bisogna montare e smontare ogni giorno l’allestimento. Queste attività sono decisamente meno instagrammabili, ma a nostro parere, sono dei piccoli sforzi che si compensano con la magia di svegliarsi davanti al mare o di dormire sotto un tappeto di stelle in mezzo al verde.
D. Dall’Olanda dove vivete, un cammino per ripercorrere la tradizione alimentare delle regioni italiane. Potrebbe bollire in pentola un secondo libro sulle strade d’Europa?
R. Questo viaggio in Italia è stato per noi, stranieri da tanti anni ormai, un modo per scoprire il nostro Paese in modo più profondo. In parallelo alla ricerca per il libro, ci siamo arricchiti dei racconti di tutte le persone che abbiamo incontrato, delle scoperte di distretti artigianali di incredibile valore, delle tradizioni musicali e popolari che non conoscevamo, abbiamo imparato bene la geografia della penisola! Ci siamo soprattutto resi conto di come, da un viaggio di questo tipo, a contatto con la gente, possano nascere infiniti spunti e idee editoriali. Non sappiamo ancora bene dove ci porterà il prossimo libro, ma ci frullano in testa tantissimi pensieri. Per ora è anche difficile prevedere quando ricominceremo a viaggiare, ma di certo abbiamo imparato un nuovo approccio alla vita e alla ricerca, che proveremo ad applicare anche da fermi. Chissà che la scoperta più incredibile non stia proprio dietro l’angolo di casa e mai ce ne siamo accorti!
D. Oltre alle buone abitudini c’è anche il buon design. Qual è l’oggetto in cucina per te più intelligente?
R. Ho pensato molto a come rispondere a questa domanda, scorso nella mia mente tutti quegli oggetti di cucina meravigliosi e ai quali non riesco a resistere se trovo in un negozio, spremiagrumi, ciotole e ceramiche varie, colini e pinzette. Poi però mi sono resa conto che c’è uno, e un solo oggetto di cui un cuoco non può fare a meno, ed è un buon coltello. Quando entro in una casa che non è mia e mi ritrovo a cucinare, capisco subito se i proprietari cucinano o meno, dai coltelli che hanno, dal fatto che siano affilati oppure no. Il coltello è un oggetto quasi sacro per qualcuno che cucina; dal punto di vista del design, deve rispondere a logiche ergonomiche ben precise, ed è per questo che spesso è molto difficile trovare quello perfetto, che ci corrisponda esattamente. Al di là del materiale e della fattura, elementi importantissimi sono anche il peso, la dimensione, la maneggiabilità. Per me, che ho le mani piccolissime, c’è voluto un bel po’ di tempo prima di trovare un coltello che mi soddisfacesse appieno!
D. Come vi ponete in un mondo dove vegano e vegetariano sembrano aggettivi non solo positivi ma anche auspicabili?
R. Nelle premesse di questo libro raccontiamo di come lo spunto di riflessione sia arrivato dopo aver guardato i molti documentari che parlano del problema degli allevamenti intensivi di bestiame, come una delle principali cause della situazione climatica attuale. Articoli, saggi e svariati punti di vista propongono come unica soluzione l’eliminazione totale della carne dalla nostra alimentazione. Diventare vegetariani o vegani, è una scelta assolutamente rispettabile e al contempo molto difficile da portare avanti in modo veramente etico, senza incorrere in altri tipi di insostenibilità, però tralascia sempre una questione importante, a mio avviso, quella della cultura. La tradizione alimentare di un paese fa parte del patrimonio culturale dello stesso, alla pari dell’arte, dell’architettura, della danza e della musica. Quando viaggiamo, assaggiare le pietanze del luogo che stiamo visitando è uno degli atti di rispetto e conoscenza più profondi.
Cancellare tutto quello che tramandiamo da generazioni e ripartire da un foglio bianco non può essere l’unica soluzione e siamo quindi andati a cercare una risposta diversa a questo invito al vegetarianesimo.
Crediamo che la sostenibilità stia in quell’equilibrio che ci hanno insegnato le nostre nonne, mangiare meno carne, molta meno di quanto facciamo, che provenga da allevamenti sostenibili. In questo modo saremo in grado di consumare tutto di quegli animali e di dare quindi valore a quella vita. Nella nostra quotidianità mangiamo quasi sempre vegetariano, io sono una grandissima estimatrice delle insalate e trovo incredibile la verdura, la frutta e ogni specie vegetale (ci ho scritto un libro intero, disegnando ogni semino del kiwi e dei pomodori per mostrare quanto fossero meravigliosi!). Credo però fermamente che la via giusta sia quella della consapevolezza e dell’equilibrio, perché l’etica sta anche nel non mangiare l’avocado tutti giorni, la cui coltivazione provoca deforestazioni immense, e di non comprare le zucchine a novembre perché provengono da serre ad altissimo impatto ambientale. La ricchezza del nostro pianeta sta nella biodiversità, impariamo a rispettarla e ad usarla nel modo giusto.
D. Cos’avete imparato da questo viaggio?
R. In questo viaggio abbiamo imparato a chiedere. Porre delle domande ai venditori del mercato, ai macellai, agli allevatori e produttori che abbiamo incontrato, ma anche agli artigiani che siamo andati a trovare, ci ha spalancato le porte di un sapere non documentato. Abbiamo imparato tantissime cose che sono diventate nozioni riportate nel libro e tante altre che ci hanno arricchiti in modo inestimabile. Abbiamo imparato a dire di sì alle opportunità che si sono presentate lungo il viaggio, a cambiare rotta e piani perché in questo modo siamo riusciti a raggiungere risultati che mai avremmo immaginato. Abbiamo imparato che anche ciò che inizialmente può sembrare impossibile, lavorare un anno, in remoto, da una casa mobile e scrivere un libro in movimento, con un po’ di follia e tanto impegno, può essere realizzabile!
D. Com’è stato tornare a casa dopo 10 mesi e 9.000 km? Abituati ad una casa su ruote com’è ritrovarla “fissa”?
R. Siamo rientrati a casa quando si sentiva già aria di lockdown, e in un primo momento, nonostante le limitazioni, abbiamo apprezzato le comodità di un appartamento: il divano, la doccia sempre disponibile e calda, delle pareti che proteggono, i propri oggetti attorno, quadri alle pareti, piccole cose che diamo per scontate ma che invece costituiscono lo scenario in cui viviamo e che ci fanno chiamare quello spazio, casa. Ci siamo riscoperti più ordinati di prima, ogni cosa in furgone ha un suo posto in cui viene riposta dopo essere stata utilizzata, altrimenti dopo poche ore in uno spazio tanto piccolo non ci si muoverebbe più. E così, ritrovandoci a farlo in casa, ci siamo trovati in uno spazio sempre in ordine. Inoltre, vivere in un furgone per un anno, dà priorità agli oggetti e ci ha fatto capire di quante cose inutili ci circondiamo e riempiamo le nostre case. Lungi dal dichiarare di essere diventati dei minimalisti, amo comprare begli oggetti, siamo acquirenti seriali di libri, di illustrazione soprattutto, e in ogni viaggio che facciamo, non riusciamo a resistere alle produzioni artigianali, ma cerchiamo di riflettere un po’ di più su tutte quelle cose che troppe volte compriamo distrattamente e ci affollano lo spazio di “spazzatura” usa e getta.
D. Adoro la vostra estetica. Si può raccontare gli scarti in modo instagrammabile. Come lo fate?
R. La questione delle fotografie nel libro è stata oggetto di una lunga ricerca e di molti ragionamenti. I soggetti erano complicati, frattaglie appunto, in molti casi sanguinolente e non proprio di bell’aspetto, i piatti che le vedono protagoniste, pure. L’intento del libro è quello di avvicinare le persone a questo mondo scartato, di sensibilizzare sull’argomento spreco e di conseguenza anche le fotografie giocavano un ruolo importantissimo per trasformarli in piatti appetibili.
Siamo riusciti a scorgere del bello anche nelle frattaglie, a trovare texture e pattern grafici che le presentassero sotto la luce migliore e che le rendessero interessanti e appetibili.
D. Come avete pianificato questo viaggio in giro per l’Italia? Quanto tempo ci avete lavorato? Che ruolo ha giocato il momento storico?
R. L’idea del viaggio e del libro si sono evolute nel tempo. Abbiamo iniziato a ragionare su questo tema abbozzandolo a fine 2017, poi nell’anno successivo le tematiche di ricerca si sono concretizzate fino a diventare un’idea editoriale che abbiamo proposto a Corraini, i quali hanno subito accolto con entusiasmo questo progetto tanto interessante quanto matto. Inizialmente pensavamo di girare per un periodo molto più breve, appoggiandoci ad appartamenti e stanze in affitto. Poi la grande intuizione: le ruote! Abbiamo comprato BigBlue a gennaio 2019, ci abbiamo messo tre mesi di intenso lavoro per progettarlo e allestirlo con l’aiuto di due amici costruttori. A maggio siamo partiti e abbiamo viaggiato per undici mesi fino a marzo 2020 quando la prospettiva di un lockdown ci ha fatti rientrare. I mesi successivi di isolamento sono serviti a dedicare tutte le nostre energie a terminare il progetto editoriale.
La ricerca ci ha portati in angoli nascosti del nostro Paese e ci ha fatto scavare in una tradizione dimenticata, riflettere su logiche etiche e più sostenibili e porre attenzione sulla filiera corta e sulle risorse incredibili del nostro territorio.
Nella chiusura che abbiamo vissuto abbiamo riscoperto dei valori che avevamo tralasciato e forse siamo stati capaci di guardare l’Italia come non facevamo da tanto. In qualche modo il libro Scarti d’Italia ha anticipato tante riflessioni che ci siamo trovati a fare negli scorsi mesi e ha dato importanza a quelle cose semplici che abbiamo sotto agli occhi ma che la frenesia della vita non ci fa vedere.
D. Conoscevate le tappe ma non le persone che avreste incontrato? Ho letto che ogni piazza era il punto di partenza per raccogliere informazioni. È stata un po’ come una caccia al tesoro?
R. Siamo partiti con una lista di tappe e persone che volevamo incontrare, fondamentali per questa ricerca. Ad ogni incontro si aggiungevano nuovi nomi, suggerimenti, una rete che si ampliava costantemente. A nostro vantaggio avevamo l’elemento tempo e il non avere una data precisa di ritorno, e così ci siamo potuti permettere di seguire i consigli e di lasciarci trasportare in questo viaggio di esperienze che ci hanno progressivamente arricchito. BigBlue è stato un elemento fondamentale di questa dinamica, ci ha permesso di raggiungere i luoghi più nascosti e fuori dai percorsi turistici, di sostare dove altrimenti non ci sarebbero state strutture di ospitalità. L’approccio era il seguente: arrivavamo nella piazza principale del paesino, piccolo giro di ricognizione, il furgone blu con targa gialla si nota. Parcheggiavamo e, ben vestiti, entravamo nel bar centrale. Un caffè era la scusa di incominciare a parlare con il gestore, raccontare il motivo per cui eravamo li. L’argomento apriva canali di tradizione e nostalgia per cui la gente si animava di partecipazione e ci consigliava il tal macellaio, piuttosto che il cugino del farmacista o il cognato allevatore del sindaco. In questo modo siamo entrati in contatto con l’Italia più autentica, si sono aperte porte che mai avremmo pensato e abbiamo raccolto esperienze uniche. E’ stata la caccia al tesoro più ricca (e grassa) di sempre!
D. Quali incontri vi sono rimasti più nel cuore?
R. Possiamo dire senza dubbio che è stato un viaggio di incontri: chef, macellai, allevatori, persone incontrate al mercato, al bar, critici gastronomici, librai. Abbiamo parlato con così tante persone da avere una mappa d’Italia piena di nomi propri. Sicuramente i momenti più speciali sono nati nel momento in cui qualche intoppo ci ha fatto trattenere più del previsto in un luogo, che per dei giorni è diventato familiare. Un problema ad una ruota di BigBlue, che ha richiesto più giorni e svariati meccanici, ci ha trattenuti a Guardiagrele, in Abruzzo, ospiti di un macellaio e di sua moglie. Quando siamo tornati, qualche settimana fa, a portargli il libro finito, i loro sorrisi ci hanno accolti come fossimo di casa. Una trattoria nelle Marche dove sono stata ospite per qualche settimana, mi ha insegnato moltissime cose preziose, un ex custode di Pompei conosciuto in Puglia, ci ha accompagnati in una visita speciale degli scavi; un produttore di pipe dell’entroterra calabrese e il suo pappagallo Enrico, ci hanno aperto gli occhi su una pregiata produzione artigianale di cui non conoscevamo l’esistenza; un macellaio poeta di Milano, all’inizio del viaggio, ci ha fatto capire che questa ricerca poteva portare lontano e ci ha rivoluzionato il modo di pensare.
D. La cosa più strana che vi è capitata?
R. La tecnica delle piazze, sperimentata più volte, in un’occasione ha originato una situazione veramente bizzarra. In Puglia abbiamo incontrato degli amici e per un giorno abbiamo lasciato BigBlue parcheggiato nella piazza del piccolo paesino dell’entroterra salentino, per unirci in una giornata al mare, usando le loro macchine. Al nostro ritorno, in serata, abbiamo scoperto essere iniziata la sagra del paese e arrivati in piazza, abbiamo trovato BigBlue addobbato di luci e festoni, completamente inserito tra bancarelle, braci fumanti e tavoloni!
D. Come sono le persone? Hanno voglia di raccontare e condividere il loro sapere? Cucinare insieme è un atto molto privato, famigliare, che unisce, come l’hai vissuto?
R. Abbiamo trovato un’Italia accogliente e disponibile a condividere, anzi, felice di poter rispondere alle nostre domande e curiosità. Forse, nel momento in cui chiediamo a qualcuno, pescatore, chef o venditore al mercato, gli attribuiamo immediatamente il ruolo di custode di un sapere, nella maggior parte dei casi ignorato. Rivolgendoci a persone completamente diverse, siamo stati in grado di costruire un bagaglio di informazioni completo e capace di toccare molti aspetti. Sicuramente mi ha sorpreso la disponibilità degli chef che ho incontrato, di aprirmi le loro cucine e accogliermi per giorni o settimane accanto a loro ai fornelli. Ho avuto la fortuna di scoprire una nuova generazione di ristoranti che non fanno solamente da mangiare, ma hanno voglia di creare cultura e per questo sono stati felici di condividere uno spazio cosi privato, come è la cucina. Forse è uno dei motivi per cui sempre più, nei ristoranti, le cucine si aprono sulla sala, si mostrano ai clienti, e si presentano come fucine di idee oltre che di piatti meravigliosi.
D. Mentre tu cucinavi, Luca cosa faceva?
R. Luca è l’autore delle meravigliose illustrazioni del libro. Mentre io mi sporcavo le mani in cucina, ospite di quel ristorante o macellaio, lui, dall’altra parte del bancone disegnava. Ha rielaborato le informazioni raccolte in disegni vettoriali tecnici ed esplicativi e gli incontri fatti in disegni a pastelli ad olio. Questi due linguaggi si accostano e si alternano nel libro, come due chiavi di lettura diverse e allo stesso modo eloquenti. La forma grafica di questo lavoro è stata fondamentale per veicolare un messaggio così particolare e un argomento così controverso, e le illustrazioni, così come le fotografie, sono diventate il mezzo per raccontarlo anche ad un pubblico non specializzato.
E poi BigBlue si è rivelato uno studio perfetto per poter anticipare di un anno lo smart working e continuare a lavorare per i nostri clienti in remoto.
D. Come lo definite questo libro? È il racconto di un viaggio, una proposta per una via alternativa più sostenibile, un’avventura, una ricerca, un libro di ricette…?
R. Questo libro è tanti libri in un uno. È un racconto di viaggio e il racconto delle storie raccolte in viaggio. È uno spunto di riflessione sull’essere onnivori e su un approccio più etico e sostenibile alle nostre scelte alimentari. È un viaggio nella tradizione culinaria italiana, in quel modo di fare, di pensare e cucinare che non prevede sprechi e non butta niente. È una ricerca che ci ha portati a scoprire realtà esemplari, che credono in principi nobili e ci hanno mostrato che un futuro diverso e migliore, è possibile. È un invito a guardare l’Italia con occhi diversi, come ci siamo trovati a fare noi, turisti nel nostro Paese, che riescono a vedere il bello anche in quella “normalità” che, se dietro casa, diventa invisibile. Scarti d’Italia è un libro, come tanti di Corraini, che si inserisce negli interstizi non esplorati da altri, un libro di cucina decisamente atipico, che a volte assume le sembianze di un’enciclopedia illustrata e altre di una guida di viaggio bizzarra. Si è formato in viaggio ed è stato stampato ad agosto 2020, che più che una data di uscita suona come un’impresa editoriale. E’ una scommessa a cui abbiamo, noi e la casa editrice, dedicato tante energie e in cui crediamo molto. In un mondo così pieno di libri, programmi, blog e riviste di cucina, e bombardato di immagini di cibo, vuole essere un tentativo di fare cultura alimentare in un modo unico e di qualità.
Io credo che Valentina e Luca siano proprio riusciti nell’intento e ora… buona lettura e buon viaggio!