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L’arte urbana, o street art, è l’arte che si manifesta nei luoghi pubblici. Da sempre presente sui muri delle città, dagli anni ’70 con i graffiti americani e poi negli anni ’80 con artisti come Keith Haring, la street art è entrata nel nostro immaginario ed è arrivata dalla strada alle gallerie d’arte di New York.
Murales e graffiti trasformano l’aspetto delle città e oggi sono concepiti come vere opere site specific in grado di rivitalizzare il territorio urbano.
Figurativi, geometrici, coloratissimi, i murales oggi sono elemento di connessione tra arte, design e comunicazione.
Nico Skolp, all’anagrafe Nicolò Loprieno, è uno street artist e designer made in Puglia. Se bazzicate su Instagram avrete sicuramente già visto il suo campo da basket iper colorato realizzato a Matera. “Let’s Play Culture” è un intervento di arte urbana realizzata in collaborazione con l’artista tedesco Quapos, e inaugurata lo scorso gennaio. Più che un semplice campo da basket è un’opera d’arte urbana che trasforma, grazie a forme e colori, una zona popolare a pochi passi dal cuore di Matera, portando il bello, traducendo il linguaggio del design per farlo dialogare con quello dello sport e connettendolo al tessuto sociale e urbano.
Sempre più spesso l’arte incontra lo sport su un campo da basket. Qui potete trovare il post che avevo scritto sul campo da basket a Parigi, più famoso di Instagram, e qui l’iniziativa dell’associazione Project Backboard che negli Stati Uniti, interviene sui campi da basket che necessitano cure e li trasforma in opere d’arte grazie alle collaborazioni con vari artisti.
Barese, classe 1983, dal 2015 Skolp è protagonista della scena materana insieme ad altri street artist nella realizzazione di numerose opere di riqualificazione urbana.
Ho conosciuto Nico Skolp su Instagram e da una chiacchierata è nata una piccola intervista. Gli ho chiesto di quanto è importante che un’opera sia anche instagrammabile, di come viene percepita oggi la street art, di come il colore cambia lo spazio e tanto altro. Trovate tutto qui, anche la storia del suo software che elabora composizioni coloratissime.
D. Come l’arte può trasformare lo spazio pubblico?
R. L’arte ha una responsabilità, può valorizzare uno spazio, ma in assenza di un progetto può fare molti danni. In generale non mi ritengo un artista, ne’ considero le mie opere come tali, ma più come dei progetti di design. Mi sento molto più vicino al mondo della comunicazione visiva in relazione con l’architettura, che all’arte. Questo perché un campo da basket dipinto in questo modo non è solo esteticamente interessante ma diventa funzionale al gioco e all’utilizzo delle persone che lo vivono.
D. Cosa ne pensi dell’instagrammabilità dell’arte?
R. Ormai è indispensabile se si vuole comunicare bellezza e farsi conoscere, ma rende tutto molto superficiale e soggetto al semplice giudizio di un pollice alla velocità di uno swipe up.
D. Come può il colore cambiare la percezione dello spazio?
R. Lo spazio é di per se colorato, siamo bombardati continuamente da stimoli visivi, buoni come nel caso della natura, meno buoni come la pubblicità. L’arte è qualcosa che si pone tra le due cose, non vuole venderci nulla ma cerca di abbagliarci come un ADV, ma allo stesso tempo ci può riempire di gioia e serenità come fa la natura. Di recente una persona su Instagram ha postato un mio lavoro dopo aver raccontato di aver avuto una brutta giornata scrivendo “..ero molto arrabbiata…ma poi…ecco qua ….. non c’è miseria nè miserabile che la bellezza non possa curare”, ne sono rimasto colpito.
D. Come influiscono sulle persone i tuoi lavori? Come vengono accolti?
R. Il mio obiettivo è sempre quello di “spiazzare” le persone, nel bene o nel male se un passante, una persona qualunque, si ferma a riflettere su quello che vede, per me è un grande risultato, ma lo é ancora di più quando la gente resta stranita o non comprendere subito quello che sta guardando. Siamo troppo abituati a ricevere input visivi (spesso commerciali) semplici da decifrare, è per questo che mi piace stimolare l’interlocutore con segni astratti.
D. È interessante come i graffiti e la street art oggi vengano lette come opere di “riqualificazione”, come è cambiato l’approccio all’arte urbana?
R. È una questione politica. Il “business” si é accorto che da questo tipo di operazioni si può ottenenere un ritorno. Se prima il graffitismo veniva percepito solo come vandalismo, adesso se ne incomincia a comprendere il potenziale, e quindi a considerare di più l’arte murale come tale e non solo come uno “muro imbrattato”.
D. Come scegli i colori per i tuoi murales?
R. Cerco di relazionarmi allo spazio che circonda l’opera e ricerco la giusta composizione ed equilibrio cromatico. L’opera non é fine a se stessa ma deve rispettare e dialogare con quello che lo circonda, l’opera entra in un ambiente come ospite per poi integrarsi diventando parte della comunità.
D. Come sei passato dal lettering alle campiture geometriche?
R. Sono da sempre un cultore della tipografia e del lettering illustrato, ma non mi sono mai realmente interessato al messaggio, dunque dalle lettere ho provato ed estrarre solo le regole compositive cercando di allontanami così dal significato, a favore del significante.
D. Ho letto che hai sviluppato un software che elabora le composizioni, mi racconti come funziona?
R. Si è un software open-source, quindi scaricabile e utilizzabile da tutti, progettato da me è sviluppato da un mio amico-collega, Piero Molino, attulamente ricercatore in Uber in California. Si stratta di un generatore di forme astratte sulla base delle regole che compongono e generano le mie composizioni. Permette di generare infinite opere digitali, un progetto, se vogliamo, di “design generativo”.
D. Hai in programma altri progetti in “maxi formato”?
R. Ci sono si degli altri progetti in cantiere ma il momento storico critico legato alla diffusione del corona virus, sta mettendo tutto in discussione, nel frattempo sono a dipingere su altri supporti nell’attesa di poter tornare per strada. Diciamoci andrà tutto bene!
Foto © Nico Skolp – Instagram @nicoskolp