Oggi vi racconto una storia speciale, una di quelle che bisogna raccontare. È quasi una favola: la protagonista della nostra storia (anche se so che non vorrebbe essere definita tale…) un giorno raccoglie i suoi sentimenti, pensieri, riflessioni, paure tra le “pagine” del suo blog. Le mette lì perché ha bisogno di tirarli fuori e metterli in ordine e poi una chiamata cambia tutto: hanno letto il suo blog, vogliono trasformare il suo racconto in un libro.

Sì, è andata proprio così! Lei è Francesca Magni, una delle meravigliose persone che animano CasaFacile – un giornale che è molto più di un giornale – e il suo libro si intitola “Il bambino che disegnava parole” da oggi in vendita nelle librerie e su Amazon.

“Dislessico. Forse è tutto qui. Ma cosa significa davvero? Processate l’informazione ognuno per sé, ma c’è qualcosa che provate all’unisono e che la cautela non può intaccare: è la sensazione di avere trovato. Eureka. (…) Poche cose sono in grado di farci sentire forti e folli quanto capire ciò che prima non capivamo.”

Francesca ha trasformato in romanzo la storia della sua famiglia e ha saputo raccontare in maniera eccelsa la scoperta della dislessia di suo figlio.
In copertina si legge “Un viaggio verso l’isola della dislessia”, spesso la “diversità” ci isola, ci fa sentire come isole ed è proprio questo che il libro di Francesca scardina.

“Tu e io non siamo uno più stupido dell’altra, semplicemente funzioniamo in modo diverso.”

Ma lasciamo parlare lei, Francesca Magni. Ecco una piccola intervista in cui le ho chiesto di raccontarci un po’ del suo libro:

Il libro nasce in realtà dal tuo blog. Com’è andata?
«Era passato più di un anno dalla scoperta della dislessia di mio figlio. Mio marito ancora stentava a capire, mi accusava di essere troppo protettiva; mia figlia entrava in crisi perché mi vedeva dedicata a suo fratello in un momento in cui anche lei aveva bisogno; io cercavo di tenere insieme il lavoro, la famiglia, gli incontri con psicologi e professori… In tutto questo non avevo ancora elaborato quello che era successo. Finché un giorno un’influenza mi ha fermata: in un pomeriggio a casa da sola ho iniziato a scrivere sul blog. Scrivevo e piangevo. Uscita sul blog, la storia ha iniziato a incontrare persone con esperienze simili… È stato il momento più bello, quello in cui scopri che non sei solo. Meditavo di continuare a tenere un diario on line della “nostra dislessia”, ma poi un giorno mi ha chiamata una editor della Giunti. “Abbiamo una collana di narrativa non fiction, romanzi nati da storie vere”, mi ha detto, “Ti andrebbe di raccontare la storia in un libro?”».

Come ha reagito tuo figlio quando gli hai detto di voler raccontare la vostra, la sua, storia?
«Mi ha detto “Ok, fallo, ma devi dire la verità”. Nel libro ci sono episodi, atmosfere e situazioni verosimili, ispirati a quello che abbiamo vissuto: è un romanzo che ha dei personaggi di fantasia, ma dentro c’è la verità di quella che per noi è stata un’agnizione; la verità della crisi che segue sempre a una scoperta del genere; e anche la verità di come se ne esca migliori. E questo voglio dirlo forte e chiaro: avete scoperto un dislessico in famiglia? Bene, ora cercate chi gli somiglia (si tratta di una caratteristica genetica), confrontatevi tra voi, cercate di capire come funziona ognuno di voi: avete più memoria per i volti o per i nomi? In che modo imparate più facilmente? Qual è la cosa che sapete fare meglio e quella che fate peggio? Dopo aver imparato a riconoscere le caratteristiche che si associano alla dislessia, noi in famiglia ci capiamo di più, ironizziamo sulle reciproche stranezze, ora ne ridiamo anziché arrabbiarci (i dislessici possono essere molto buffi…)».

La scoperta di una “diversità” viene spesso nascosta o tenuta come notizia riservata, tu sei riuscita a raccontarla e ad abbracciare chi sta vivendo la confusione della scoperta, capace di rassicurarli su una positività certa. Dove hai trovato il coraggio di raccontare e svelare la storia della vostra famiglia?
«Se vivi un’esperienza dolorosa ma comune ad altre persone, secondo me hai il dovere di condividerla. Specie se si tratta di una cosa che ancora non è universalmente nota. Serve a fare conoscenza. Sono proprio le diversità, le nostre specificità, che dovremmo rivelare per conoscerci davvero. Io ho incontrato mio marito 18 anni fa, ma posso dire di averlo veramente “conosciuto” solo tre anni fa, quando la scoperta della dislessia di nostro figlio ha rivelato che anche lui ha una neurovarietà simile. All’improvviso ho capito cose che prima trovavo incomprensibili, il suo chiedermi i nomi delle persone che frequentiamo perché i nomi non gli restano in testa, la sua lentezza nel leggere o nel reagire a certe situazioni, la grafia indecifrabile, il suo bizzarro senso del tempo…».

Aprire la finestra di casa e lasciarsi spiare da sconosciuti, come vivete questa nuova esposizione a casa?
«È come invitare a cena tutti quelli che hanno voglia di confrontarsi su questo tema. Se la casa fosse più grande, lo farei davvero! Penso che il pudore delle proprie esperienze serva solo a renderci più soli».

Come hai iniziato a scrivere?
«Ho studiato la divisione del libro in tre parti e via via che costruivo un capitolo lo sintetizzavo con parole chiave su un foglietto. Poi appendevo i fogli all’armadio con dei nastri di washi tape di tanti colori… 🙂 Ho creato una mappa fisica del libro. Alla fine l’ho tradotta anche in una mappa vera, che è stata stampata sul risvolto di copertina».

Il libro ha una voce narrante che segue e osserva la tua famiglia, come hai deciso di non raccontare in prima persona?
«Questa storia è venuta fuori così, al tu. È una forma strana, lo so, qualcuno magari la troverà faticosa o detestabile, e me ne scuso. Ma è venuta da sé. Perché io, o meglio il personaggio ispirato a me, non è protagonista, è solo uno degli attori in scena, e quel “tu” mi ha permesso di conciliare soggettività e oggettività».

La scuola italiana è organizzata e attrezzata ad affrontare un approccio educativo che non può seguire i percorsi canonici? Cosa si può fare di più?
«La scuola viaggia a più velocità. Ci sono insegnanti informatissimi, empatici e disposti a mettere la fantasia e la sperimentazione al servizio dell’apprendimento; poi ci sono insegnanti scettici rispetto alle diagnosi, incapaci di entrare nella testa di chi ha questa neurovarietà. Io credo che la scuola dovrebbe staccarsi dall’idea della valutazione dei singoli compiti e valutare i percorsi degli studenti, i miglioramenti e gli obiettivi raggiunti. Penso che dovrebbe abolire il meccanismo perverso della media dei voti: prendo 2 perché non ho studiato o non ho capito, poi prendo 8 perché ho imparato; la media non fotografa quello che io so, la media mantiene traccia del mio non-aver-saputo. Neanche fosse una colpa! Questo è avvilente, scoraggiante e ingiusto; specie per i ragazzi dislessici che hanno tempi di apprendimento più lunghi».

Il tuo libro sarà un grande aiuto verso una maggiore comprensione della dislessia come normalità togliendole finalmente il marchio nero che la oscura. Cosa speri susciti nei lettori?
«Il sogno è che leggendolo la gente capisca che dislessia (e le sue “sorelle” disgrafia, disortografia e discalculia) è la punta di un iceberg di un modo di affrontare l’apprendimento e la vita in genere; ed è legata a una disposizione atipica di alcune reti neurali. È come essere mancini, stonati o intonati, con o senza senso dell’orientamento, capaci o non capaci di ballare, di disegnare… Il problema è che non saper cantare o non saper disegnare sono caratteristiche gestibili, mentre far fatica a leggere o non saper scrivere le parole correttamente o non rendere automatici i processi di calcolo crea difficoltà in tutti gli anni di scuola. E, proprio mentre si è in crescita e si costruisce un’idea di sé, costringe a subire valutazioni ingiuste che minano l’autostima. Il sogno con cui ho scritto il libro è che ci faccia fare un passo avanti verso il giorno in cui i dislessici saranno considerati e contemplati come i mancini. Quel giorno arriverà, ne sono certa».

Che tipo di lettore ti immagini o speri leggerà il tuo libro?
«Vorrei lo leggesse chi crede che la dislessia sia un’invenzione dei genitori degli studenti somari per farli promuovere; chi non l’ha mai sentita nominare; chi non è dislessico e non conosce dislessici ma è curioso di scoprire come funziona il cervello. E poi spero lo leggerà la professoressa di greco di mio figlio…».

Da oggi si trova in libreria e su Amazon… ti emoziona vederlo sugli scaffali o trovarlo su internet? 
«Mi emozionerò se dovesse capitarmi di vederlo in mano a qualcuno che lo sta leggendo. Meglio che la mia casa editrice non mi senta, ma per me è più importante che venga letto, anche passato di mano in mano, che venduto. Ci sono libri che tutti comprano ma nessuno legge, e allora non servono a niente».

Qual è stata la cosa più difficile che hai dovuto affrontare durante la creazione del libro?
«La lotta per ricavare del tempo nelle mie giornate convulse e il senso di colpa perché mio marito si è accollato tutti i lavori domestici, dalla cucina alla lavatrice. Per questo dico che il libro è un po’ opera di tutta la famiglia».

La cosa che ti ha fatto sorridere di più?
«Quando ho sentito mia figlia dire a un amico che il mio libro è noiosissimo… e poi la sera, quando era ora di spegnere, non riuscivo a farle smettere di leggerlo!».

È come se Francesca ci desse degli occhiali magici, delle lenti che ci permettono di mettere a fuoco con semplicità, di vedere quello che accade veramente e ci mostrasse come si possono affrontare certe scoperte e come la verità ci renda sempre più forti e migliori.
L’amore di una madre, la caparbietà e l’acutezza, arriveranno a trasformare persino i mattoncini Lego in un efficacissimo strumento di studio!

Sul blog di Francesca – www.lettofranoi.com – c’è una citazione di Alain De Botton: «Cercavo quel genere di libri in cui una voce cordiale esprime emozioni che il lettore prova da sempre ma non ha mai realmente compreso; emozioni che portano con sé un segreto, emozioni quotidiane che la società preferisce lasciare inespresse, che in qualche modo ti fanno sentire meno solo e strano».
Ora mi chiedo se Francesca ha realizzato che è la perfetta descrizione del suo libro…

“Il bambino che disegnava parole” davvero è un libro che tutti dovremmo leggere. Lo trovate da oggi in libreria e su qui su Amazon.

Grazie a Francesca per il tempo che mi ha dedicato ma soprattutto per il libro che hai scritto!